La vera “aspra stagione” inizia con l’anno del rapimento Moro. Di fatto la formula che dà il titolo del libro viene coniata nel 1981 dallo stesso Rivolta e si riferisce proprio agli eventi accaduti a partire dal 1978 <407. È un momento che marca un cambiamento rispetto a ciò che lo precede e che invece troppo spesso rischia di vedere proprio nell’uccisione del segretario della Democrazia Cristiana l’inevitabile e teleologica conclusione di un momento storico.
Il rapimento e l’uccisione di Moro non segna infatti la fine di una stagione, bensì l’inizio di una fase di passaggio. Come dichiara Tommaso de Lorenzis, «indicativamente l’“aspra stagione” potrebbe essere compresa tra la mattina del 16 marzo 1978, quando viene rapito Aldo Moro, e l’11 luglio del 1982, quando Dino Zoff alza la coppa d’oro col globo per celebrare la vittoria della nazionale italiana al mondiale di football in Spagna <408». Tale periodo rappresenta sì una conclusione, ma a sua volta un evento fondante, in cui elementi già presenti nella fase precedente si rafforzano e soprattutto assumono una direzione, dove risalta la differenza tra le feste di contestazione che caratterizzavano le manifestazioni degli “indiani metropolitani” del 1977, a quelle per la vittoria della nazionale, di tutt’altro segno politico.
Durante i giorni del rapimento Moro è anche il mondo della comunicazione che rende evidente i segni di un cambiamento in atto: se, come ricostruisce Marco Belpoliti in “Le foto di Moro” (2008) e “Da quella prigione. Moro, Warhol e le Brigate Rosse” (2012), le immagini del segretario della DC nella prigione delle Brigate Rosse si inseriscono in un mondo in cui i cambiamenti influiscono anche sulle forme espressive della politica, tanto che, scrive Belpoliti in riferimento alla prima foto che ritrae Aldo Moro dopo il sequestro, «le Brigate Rosse hanno diffuso una fotografia pubblicitaria» <409. I giornali non sono da meno: di fronte all’ipotesi di non mostrare, per motivi etici, i documenti e le immagini che le Brigate Rosse hanno fatto pervenire alle redazioni, le principali testate mettono da parte ogni dubbio: “staccare la spina. Chiudere i canali della comunicazione. Ma a che prezzo? Come reagirebbe l’Italia davanti a una scelta simile? La reazione sarebbe imprevedibile. Niente di buono, comunque. E poi c’è la valutazione economica. Gli italiani leggono più giornali. Finalmente le copie vendute aumentano. Interrompere il flusso di informazioni sarebbe un suicidio per tutti”. <410
Il percorso giornalistico di Carlo Rivolta muta a partire dalla morte di Moro. Non è solo un cambio di testata, cambiano infatti anche gli argomenti trattati: meno cronaca politica e più attenzione al commercio di stupefacenti. Si tratta di una previsione che col tempo si rivela del tutto azzeccata e che si lega in maniera drammatica al futuro del giornalista: «Negli anni ’80 le cose andranno forse peggio, – scrive Rivolta, su “La Repubblica” del 31 dicembre [1979], in un dossier dedicato all’eroina. – Stretti fra uno Stato in cui per la gran parte non si riconoscono, e un contro-Stato portatore di morte e di terrore (la lotta armata), moltissimi saranno quelli che apriranno la porta dell’uscita di sicurezza, precipitandosi via, lungo la strada della fuga. Anche a rischio della vita».
L’anno che simbolicamente sancisce l’allontanamento dalle pagine della cronaca politica è il 1980: invece di essere presente a Bologna dopo lo scoppio della bomba alla Stazione Centrale, Carlo Rivolta è inviato sul luogo di un’altra tragedia, il terremoto in Irpinia, a cui dedica numerosi reportage: “Rivolta resta nelle zone terremotate per alcune settimane a raccontare l’arrivo dei primi soccorsi, i volontari, la generosità gli slanci, il freddo e ancora le morti. Ma è anche, tra i primi, a spiegare come la camorra fiuti l’affare in mezzo all’odore dolciastro dei cadaveri: il racket che cerca di trasformare il dolore della gente in business colossale. E una nuova classe politica permeabile, nella quale le infiltrazioni malavitose nn fanno alcuna fatica a penetrare e diventare parte del sistema”. <411
Non è un caso che a citare Carlo Rivolta nei propri articoli sia oggi Roberto Saviano <412, Carlo Rivolta che rimane un riferimento celato all’interno del testo. L’ultimo impeto giornalistico di Rivolta infatti è rivolto ad un’idea che al lettore del 2012 non può non ricordare “Gomorra”. Nella lettera all’amico Enrico Deaglio, scritta il 14 dicembre 1981, riportata integralmente all’interno del romanzo, Rivolta scrive: “è per questo che insisto nella mia idea di un lavoro, su quelle quattro pagine, che non abbia una sua rigida gabbia ma che consenta di utilizzarle nel modo più elastico possibile anche per fatti e spettacoli del Sud. Penso alla quantità di approfondimenti sulla città di Napoli che potremmo avere. Penso ad una grande inchiesta sulle città del Sud. Non so: andare a Bari a scoprire chi sono i giovani scippatori, le prostitute, i baraccati che vivono alla periferia della città e che legami hanno con il loro passato contadino. Ripetere questo esperimento in tutti i capoluoghi, fino a fare una mappa di come è cambiato il Sud, perché, e quali sono i danni irreparabili, e cosa si può fare di fronte a un quadro sociale talmente nuovo per sottrarlo alla mafia, alla disperazione, alla delinquenza”. <413
Tuttavia ormai è tardi e, dopo lo spazio bianco di una linea, il paragrafo successivo dà la notizia della morte di Rivolta, avvenuta due mesi dopo la stesura della lettera. L’ultimo articolo inserito nel libro si intitola “Ma in realtà va sempre peggio” e si conclude con la frase «non cambia nulla in città, e se qualcosa cambia, è solo in peggio» <414. La frase diventa una sorta di epigrafe nonché un’ulteriore premonizione. Lo esplicitano gli stessi autori che nell’ultimo capitolo rendono evidente il concludersi dell’“aspra stagione”. Il capitolo, dedicato al “Dopo” la morte di Rivolta, si apre con la notizia della chiusura del giornale “Lotta Continua” e prosegue con la vittoria dell’Italia ai Mondiali e gli estratti dal polemico articolo di Enrico Deaglio. Ma è un manifesto del Partito Socialista che meglio rappresenta il cambiamento avvenuto. In esso il quadro “Il quarto Stato” di Pelizza da Volpedo viene reso oggetto di una delle forme tipiche del postmoderno, il détournment con cui spesso le immagini della tradizione vengono sottoposte ad una rilettura dissacrante. In questo caso i braccianti sono sostituiti dalle figure dei rappresentanti della nuova classe sociale: una donna in tailleur e un manager con la cravatta e la camicia sulle spalle: “la sostituzione è ben più di un espediente grafico. È l’orgogliosa istantanea di un’Italia spregiudicata che marcia sulle gambe d’impiegati qualificati e dirigenti d’azienda, di stilisti e modelle, di bancari e assicuratori, di giornalisti e creativi. È l’Italia che si trasforma, spendendo più di quanto guadagna e firmando tutto ciò che c’è da firmare più di accedere ad altri crediti”. <415
Il libro si conclude con la frase «tutto questo è successo dopo», che in realtà è un doppio salto in avanti: “Dopo” è l’ultimo capitolo del libro, dedicato a ciò che avviene successivamente alla sua morte, ma è anche un “dopo che si rivolge all’oggi, agli anni in cui il libro viene pubblicato. Ciò che avviene “dopo” è contenuto in un riferimento, è Mira Mare, una canzone di Francesco de Gregori del 1989, che, oltre a descrivere i trasformismi politici degli anni Ottanta («i professori dell’altro ieri stanno affrettandosi a cambiare altare/ hanno indossato le nuove maschere e ricominciano a respirare») compie un ulteriore previsione: «Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila/ Sarà il carisma di Mastro Lindo a regolare le fila/ E non dovremo vedere niente che non abbiamo veduto già» <416.
[NOTE]
407 Ibid., p. 117-127.
408 Tommaso de Lorenzis, Guido Favale, “L’aspra stagione: storie di Carlo Rivolta”, in Giap!, 02/04/2012, disponibile all’indirizzo: http://www.wumingfoundation.com.
409 Marco Belpoliti, Da quella prigione. Moro, Warhol e le Brigate Rosse, Parma, Guanda, 2012, p. 26.
410 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 141.
411 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 203.
412 Roberto Saviano, “Il padrino proibizionista”, La Repubblica, 01/09/2014.
413 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 236.
414 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 244.
415 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 256.
416 Nota, dal libro
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2015
Cenni di Storia della Resistenza nell’Imperiese (I^ Zona Liguria)
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Adriano Maini
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Da Bordighera (IM), Liguria
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