Ossola. “Repubblica” o “Zona libera”?

Bollettini GPG n. 7 e n. 8 (col colore “normalizzato”) – 27 e 28 settembre 1944. Fonte: Gianmaria Ottolini, art. cit. infra

Nonostante la pesante sconfitta subita con il rastrellamento di giugno nella Valgrande (circa 300 caduti) e una molteplicità di azioni repressive contro partigiani, antifascisti e popolazione (l’ultimo episodio fu quello di Premosello il 29 agosto con 5 vittime – un partigiano e quattro civili – e circa 50 abitanti rastrellati), i mesi di luglio ed agosto videro un rafforzamento e una notevole vitalità delle forze partigiane con la nascita di nuove formazioni e la ristrutturazione di altre. Vanno ricordate oltre alle più note Valdossola di Superti e Valtoce di Di Dio, la neonata Valgrande Martiri di Muneghina. In questa area, tra Verbania e il confine, la Perotti di Frassati e la Cesare Battisti di Calzavara che proprio in quei giorni si uniscono per formare la brigata Piave. Nel Cusio la Beltrami di Rutto. Nelle valli a ovest e nord di Villadossola e Domodossola, tra la Val Anzasca e la Val Antigorio vi sono i Garibaldini, in contatto con la Valsesia e che assorbono alcune formazioni e gruppi locali come il battaglione Fabbri dei fratelli Scrittori dando vita alla Divisione “Redi”. Vi è poi a est di Domodossola, nelle valli Isorno e Vigezzo, la formazione autonoma di Viglio che diventerà poi Brigata Matteotti.
Una presenza partigiana eterogenea di circa 1500 combattenti (non particolarmente ben armati) che con azioni successive stringono in una morsa crescente Domodossola dove sono concentrati circa 600 nazifascisti. La presenza di più formazioni, in concorrenza emulativa fra di loro, fa anche sì che i comandi nazifascisti sopravvalutino le forze nemiche. Alla fine di agosto si hanno anche alcune diserzioni fra i fascisti e fra i soldati della Wehrmacht; da ricordare in particolare la diserzione in massa di oltre 70 georgiani passati, con il loro armamento, con i partigiani.
Il 9 settembre, al Croppo di Trontano, con la mediazione dei parroci di Masera e di Domodossola, avviene la trattativa tra i rappresentanti del Valdossola e della Valtoce con i comandi nazifascisti che accettano la resa e nella notte abbandonano la città lasciando, i tedeschi, l’armamento pesante e, i fascisti, anche l’armamento personale. Valdossola e Valtoce (con l’esclusione dei Garibaldini) acquisirono pertanto una quantità considerevole di armi entrando in città il mattino successivo.
Si era evitato di portare i combattimenti in città con prevedibili conseguenze drammatiche per la popolazione civile – era questa in particolare la preoccupazione delle autorità religiose – e si era inflitto al nemico un colpo decisamente significativo sul piano militare e sul loro stesso prestigio. Tutto poteva, in un certo senso, finire qui.
Nella strategia militare del CVL infatti
L’occupazione di paesi non è fine a se stessa. Non si occupa per poi aspettare il rastrellamento nemico. Il territorio occupato deve essere considerato come una base dalla quale devono incessantemente partire le squadre per colpire il nemico. L’occupazione di paesi e vallate deve garantirci una più vasta possibilità di mobilitazione e di istruzione di nuove forze che devono però essere impegnate oltre i ristretti limiti della vallata. (Circolare del 25 giugno)
Analoga e ancor più esplicita la posizione del Comando Generale delle Brigate Garibaldi:
“L’occupazione di paesi e vallate non deve affatto significare rinchiudersi nel limitato spazio occupato, quasi in una specie di repubblica indipendente, preoccupandosi di non essere rastrellati. L’occupazione di paesi e vallate deve esser fatta per preparare delle basi più larghe e più solide dove organizzare su più vasta scala e con maggior cura i nostri colpi da portare al nemico, in tutte le direzioni e il più lontano possibile”. (Direttiva del 18 giugno)
I garibaldini erano stati esclusi dalle trattative e dalla distribuzione delle armi, ma avevano comunque consolidato le loro posizioni assorbendo gruppi minori e accogliendo nuove reclute ed anche rafforzata l’unità di azione con la Beltrami. Non era nemmeno intenzione espressa della Valtoce quella di occupare stabilmente il territorio né tantomeno dar vita e sostenere un governo locale.
Il governo civile.
Chi puntò alla costituzione di un territorio stabilmente libero e ad una Giunta Provvisoria di Governo, formata da civili in rappresentanza delle diverse formazioni politiche antifasciste, fu soprattutto Superti che, grazie ai suoi rapporti con i socialisti espatriati in Svizzera e, loro tramite, i servizi di informazione alleati, pensava all’Ossola come testa di ponte per un futuro aviosbarco di truppe alleate, in sintonia con Ettore Tibaldi, rapidamente rientrato dalla Svizzera, che da tempo ne aveva elaborato il progetto. Lo stesso CNL locale, immediatamente riattivato, si rese conto della necessità di dare una amministrazione alla città e all’intero territorio liberati. L’ordine di costituzione della Giunta fu emanato da Superti e, superate iniziali incomprensioni, successivamente riconfermato dal CLNAI.
Questa la composizione e gli incarichi della Giunta:
Ettore Tibaldi, (socialista, primario dell’ospedale di Domo; dal novembre del ’43 rifugiato a Lugano): Presidente, Esteri, Giustizia, Igiene.
Giorgio Ballarini (indipendente): Servizi pubblici, Trasporto e Lavoro.
Mario Bonfantini (“Bandini”, novarese, socialista, poi famoso critico letterario): Collegamento con l’autorità militare e Stampa.
Severino Cristofoli (azionista, ingegnere della Rumianca): Organizzazione amministrativa e Controllo della produzione industriale.
Dott. Alberto Nobili (liberale): Finanze, Economia ed Alimentazione.
Giacomo Roberti (comunista): Polizia e Servizi del Personale poi sostituito dal ferroviere milanese, anarchico e comunista, Emilio Colombo (“Oreste Filopanti”).
Don Luigi Zoppetti (padre rosminiano, democristiano): Istruzione, Culto e Assistenza poi sostituito da don Gaudenzio Cabalà, sacerdote domese (nato a Gravellona).
Avv. Natale Menotti (“Nicola Mari”, verbanese, democristiano): Tributi e Finanze.
Gisella Floreanini (“Amelia Valli”, milanese, comunista, rientrata dalla Svizzera): Assistenza, Organizzazioni di massa.
Furono inoltre nominati come segretario aggiunto Umberto Terracini che stese tutti i verbali delle 13 sedute di giunta e, in accordo con Tibaldi, salvò (e completò) tutta la documentazione portandola poi in Svizzera come atto di totale trasparenza dell’operato della giunta; come rappresentante in Svizzera della GPG, Cipriano Facchinetti che tenne i rapporti con il CLN a Lugano; come giudice straordinario l’avvocato milanese Ezio Vigorelli che istruì con scrupolo i processi per i crimini fascisti e per l’epurazione, ma senza portarli a dibattimento per non dover eseguire condanne a morte; come curatore dei rapporti economici con la Svizzera Luigi (Gigino) Battisti, (azionista, figlio dell’irredentista Cesare, poi Sindaco di Trento) che ottenne dal paese confinante un carico giornaliero di 20 tonnellate di patate in cambio dei prodotti chimici della Rumianca; come comandante del neo costituito Corpo Volontario della Guardia Nazionale che unificava i diversi corpi di polizia (finanza, forestale, polizia, carabinieri) in un unico organismo formato di volontari e di militari non compromessi, il colonnello Attilio Moneta che poi cadrà, insieme ad Alfredo Di Dio, al Sasso di Finero il 12 ottobre, durante il contrattacco nazifascista.
E l’elenco potrebbe continuare: commercialisti locali per il bilancio, insegnanti e presidi per riformare la scuola.
Due sono gli aspetti da sottolineare:
L’attività della giunta, capace di fronteggiare una situazione difficilissima (economica, sanitaria, alimentare, assistenziale, abitativa, postale, dei trasporti e delle comunicazioni ecc.) e nello stesso tempo di precorrere nuovi ordinamenti democratici. Non ci fu il tempo per organizzare elezioni ma si favorirono (grazie in particolare a Gisella Floreanini) la rinascita di organismi di massa e sindacali con l’elezione di commissioni interne per sostituire i sindacati fascisti nonché, di concerto con il CLN, la sostituzione in tutti i comuni ossolani (32, con oltre 80mila abitanti complessivi) dei podestà con la nomina di Commissari straordinari. L’attività legislativa fu a tutto campo con attenzione particolare alla scuola con la sostituzione dei testi fascisti e una revisione dei cicli, alla legalità (non mancarono anche disposizioni contro il contrabbando, in realtà solo enunciate), ad un riordino del sistema di previdenza e di quello fiscale. E, nel momento in cui si delinea la rioccupazione nazifascista, l’organizzazione del trasferimento in Svizzera dei bambini (circa 2500) e poi di parte consistente della popolazione: da 25 a 30mila civili che abbandonarono l’Ossola e, in particolare, Domodossola trovando rifugio nel paese confinante e facendo in modo che, quando il 14 ottobre i nazifascisti rientrarono a Domodossola, il prefetto fascista di Novara Vezzalini si rendesse conto, di fronte ad una città quasi deserta, della impossibilità di esercitare le rappresaglie preannunciate.
Il clima di partecipazione entusiastica, di fervore democratico, di attività culturali, di dibattiti a tutto campo, che coinvolse i cittadini residenti, un numero consistente di antifascisti rientrati dall’esilio o affluiti dall’Italia occupata (in particolare dal novarese e dal milanese). L’elenco di politici (parlamentari, costituenti, sindaci ecc.), di scrittori, intellettuali, giornalisti, storici ecc., presenti in quei giorni in Ossola, e che poi ebbero un ruolo importante nell’Italia del dopoguerra, è lunghissimo e rischierebbe di rimanere incompleto. Fu quella una fucina di intelligenza e di libera espressione, un “clima” che ha lasciato il segno e che in molti hanno testimoniato. A me vengono in mente le bellissime pagine di Franco Fortini in “Sere in Valdossola”. Vi fu la pubblicazione di un numero consistente di testate giornalistiche, di volantini e manifesti che si aggiunsero ai comunicati e ai notiziari della GPG. Mario Bonfantini diede vita ai corsi di una “Università popolare” sulla storia contemporanea. E, in sincrona a tutto questo, la partecipazione attiva dei cittadini alle esigenze sia militari (costruzione di armi e munizioni nelle fabbriche) che civili (ad esempio gli allievi e gli insegnanti del Rosmini che aiutarono ad accumulare e ridistribuire le derrate – patate, latte condensato, … – e i medicinali provenienti dalla Svizzera utilizzando il sottotetto del Collegio come magazzino).
La libera stampa
Nei 40 giorni della Repubblica si distribuirono in migliaia di copie dieci nuove testate, due direttamente edite dalla Giunta Provvisoria: Bollettino quotidiano di informazioni (16 numeri) e Liberazione 4 numeri). Le altre furono Valtoce dell’omonima formazione (8 numeri), Unità e Libertà dei Garibaldini (3 numeri), Il Patriota della Brigata Matteotti (2 numeri), L’Unità organo del PCI nazionale (2 numeri); e con un singolo numero: Il Combattente dei Volontari della Libertà, La nostra lotta, rivista teorica del PCI, F d G per una vita migliore del Fronte della Gioventù, Avanti! del PSIUP. A questi si aggiunsero due numeri del preesistente settimanale cattolico Il Popolo dell’Ossola.
Un piccolo episodio per ricordare quel clima di partecipazione, ma anche di confronto acceso: la carta di quei bollettini e giornali era per i più quella bianca con due eccezioni: l’azzurro di “Valtoce” che richiamava evidentemente il colore della formazione, e il “rosso” (in realtà più rosa-violaceo) del “Bollettino quotidiano” della Giunta. Quest’ultimo colore (sembra in realtà scelto dalla tipografia per smaltirne una scorta sovrabbondante) fu vissuto come una provocazione dai partigiani azzurri che manu militari requisirono quella carta e così il bollettino, da n. 8 del 29 settembre uscì “normalizzato” con la carta bianca.
[…] Quale il segreto di quei 40 giorni di libertà, di anticipazione di una democrazia moderna; di una attività nel contempo frenetica e rigorosa, emergenziale e proiettata nel futuro, di decisioni rapide e di dibattito intenso e partecipato, di fusione di orientamenti politici apparentemente inconciliabili, di sintonia fra ceti sociali rurali, operai e borghesi, fra abitanti locali, sfollati e rimpatriati, fra civili e formazioni partigiane?
Gli storici insistono sulla particolarità, rispetto altre “zone libere”, del confine con la Svizzera (200 km di confine con due ferrovie e più passi di frontiera), del fatto cioè che la Svizzera ha costituito il retroterra politico (con la presenza e poi il rimpatrio dei fuoriusciti) ed economico, nonché il rifugio nel momento del crollo. A questo alcuni aggiungono la speranza (rivelatasi poi un’illusione) di un intervento alleato via aerea che sembrava promettere una liberazione non solo temporanea, ma l’avvio, la testa di ponte territoriale, militare e politica di una liberazione complessiva dell’Italia occupata. Come è noto gli aeroporti predisposti (vicino a Domodossola e in Vigezzo) si rivelarono fatica sprecata e nemmeno un’arma fu paracadutata in Ossola durante quei giorni.
Certo questi fattori hanno senz’altro contribuito: da un lato il retroterra elvetico ha dato sicurezza e la speranza di un intervento alleato mobilitato le energie. Ma a me sembra che vi sia stato soprattutto un fattore, come dire, psicologico, sociale e politico insieme: la “zona libera” ha creato uno spazio di libertà, di libera espressione che gli ossolani e gli antifascisti affluiti hanno riempito con entusiasmo. Senza quella partecipazione massiccia e quella fame di libertà, di entusiastica collaborazione, nessuna Giunta sarebbe stata in grado di realizzare quanto allora si è realizzato nel presente e progettato per il futuro. Per tutti quei giorni, ricorda Begozzi nel documentario “La Repubblica dell’Utopia”, l’oscuramento venne abolito e quelle luci rimaste accese furono il segno di una felicità collettiva ritrovata, e sono luci che ancora oggi possono illuminarci.
“Repubblica” o “Zona libera”?
È noto come la dizione “Repubblica” in riferimento all’esperienza dell’Ossola sia successiva e come allora si parlasse di “Zona liberata” e di “Giunta Provvisoria di Governo” anche se non mancano fra le stesse testimonianze dei partigiani (un esempio nel documentario “La Repubblica dell’Utopia” di Daniele Cini, 2008) casi – per così dire – di memoria retroattiva.
Non poteva allora chiamarsi Repubblica per ovvi motivi: innanzitutto perché nelle formazioni – e in particolare nella Valtoce – c’erano molti ufficiali di fede monarchica, in secondo luogo perché la stessa Giunta Provvisoria di Governo prese subito contatti, tramite il CLN di Lugano, con il legittimo e monarchico (seppur sostenuto dal CLN) Governo Bonomi per dichiarare fedeltà e ottenere riconoscimento. E poi per una ragione, direi, terminologica: Repubblica allora era quella di Salò e repubblicani i fascisti; il termine “repubblichini”, pur se presente con accezione dispregiava già ai tempi della rivoluzione francese, ebbe larga diffusione in riferimento ai fascisti di Salò solo più tardi, soprattutto dopo il referendum costituzionale e la nascita della Repubblica Italiana.
La dizione prevalente nella storiografia sino agli anni ’60 fu pertanto quella di “zona libera”: così le definisce ad esempio Mario Giovana nel suo libro del 1962 sulla Resistenza Piemontese e, ancora nel 1969, l’importante Convegno internazionale tenuto a Domodossola è appunto intitolato Le zone libere nella Resistenza italiana ed europea.
Il termine “repubblica” durante la guerra era semmai usato in modo dispregiativo nell’espressione “repubblica di banditi” dai tedeschi, oppure sul fronte opposto dal Comando Generale delle Brigate Garibaldi che il 18 giugno del ’44 parla delle zona libera come di qualcosa che non deve diventare una specie di repubblica indipendente. Il già citato Giovana utilizza con il riserbo delle virgolette l’espressione di “libere repubbliche”, per cui è da dedursi che, pur tra cautele (virgolette, cosiddette ecc.), l’uso abbia avuto una certa diffusione prima del libro di Bocca (Una repubblica Partigiana) uscito nel 1964. È comunque questa opera che ne “sdogana” l’utilizzo e da allora l’uso si è diffuso ed è prevalso.
Sul piano più propriamente storiografico il problema è comunque restato aperto: quali zone liberate dai partigiani è giusto chiamare “repubblica”? Per alcuni nessuna, per altri tutte, per altri le più grandi/estese e durature (Bocca), per altri infine quelle in cui, oltre alla zona militarmente liberata, sono sorte istituzioni rappresentative e democratiche.
La Memory School che la Casa della Resistenza il 26 e 27 settembre scorso ha dedicato all’esperienza Ossolana e al confronto con analoghe esperienze italiane e straniere, ha utilizzato un’espressione che mi pare particolarmente appropriata: La Repubblica prima della Repubblica. Non una repubblica vera e propria ma appunto un “prima della”, una anticipazione della Repubblica […]
Gianmaria Ottolini, L’Ossola libera e le “Repubbliche” partigiane, Fractaliaspei, 23 ottobre 2014

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Pensionato di Bordighera (IM)
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